domenica 29 agosto 2010


«SALVIAMO LA MADONNA DELLA SPADA»
L’AFFRESCO STA PER ESSERE CANCELLATO DALLA DEMOLIZIONE DELL’EDIFICIO

di Cosimo Forina
Voci sempre più insistenti indicano che nel mese di novembre alcune abitazioni ubicate in via Primo Maggio, nel borgo antico, li dove le case si affacciano sulla “Grava dei Francesi” saranno demolite dal Comune perché giunte, dopo anni di incuria e abbandono, a collasso strutturale. Altri edifici, come quelli già crollati e demoliti, che scompariranno come traccia della storia di Spinazzola. Si è resa molto pericolosa la facciata esterna dell’edificio di via Primo Maggio, facciata in evidente stato di distacco, e di certo già rifatta negli scorsi decenni e cambiata rispetto all’architettura originaria. Internamente all’immobile, tetti e soffitti, come accaduto per altri edifici vicini, sono crollati. Quello che però desta più allarme è l’affresco murario celato dentro l’arco sottostante l’edificio, da anni murato. Si tratta di una deposizione dalla croce, detta “Madonna della Spada”. Non risulta che sia stato studiato un progetto per il suo recupero. Già da molto tempo era stato lanciato l’allarme dalle pagine della “Gazzetta”.affinché si procedesse, con la tecnica dello strappo, alla sua rimozione. Circa quattro anni fa, con l’ausilio di alcune scale dalla parte del vicolo che sbuca vicino l’ingresso della chiesa Matrice, la «Gazzetta» aveva documentato lo stato dell’affresco che appariva di già in parte compromesso.Dopo la perdita degli affreschi del XV secolo di via “Calderale”, denunciati giorni fa dalla “Gazzetta”, la notizia della possibile perdita anche di questo bene del patrimonio della città desta ulteriore sconcerto. L’opera forse del XVII secolo, la datazione non è definita perché al disotto dei pigmenti visibili potrebbero essercene degli altri, si caratterizza per tinte marcate ed in particolare per il blu utilizzato nel manto della Vergine intenda ad accogliere, come nella Pietà di Michelangelo, Gesù morto deposto dalla croce tra le sue braccia. Un atto di amore e di dolore che l’artista, ignoto, ha voluto evidenziare con un grosso coltello che si configge nelle carni della Madre. Gli affreschi murari nel borgo antico di Spinazzola, espressi probabilmente a devozione, sono una rarità. Questi sembrano essere stati collocati in archi di ingresso alla città, per chi vi giungeva dalla “Grava dei Francesi”. Di altri se ne hanno traccia all’interno di quelle che furono chiese, anche queste molto frequenti nel borgo antico di Spinazzola, come nel caso del piccolo tempio detto “San Giuseppe”, oggi utilizzato come cantina, ubicato vicino a quel che fu il primo Ospedale censito dei Templari. E qui è possibile scorgere al suo intero dietro le botti, due strati di affreschi databili, i più antichi presumibilmente al XIV secolo e quelli sovrapposti al XVI-XVII secolo. Ma torniamo alla “Madonna della Spada”. Per gli esperti sembra non sia più possibile procedere per la sua rimozione alla tecnica dello strappo: per salvarla bisognerà asportare direttamente tutti i tufi su cui l’opera è stata realizzata, il che significa procedere nella eventuale demolizione dell’immobile con la massima cautela e oculatezza. Prudenza e attenzione a cui dovrà aggiungersi capacità nell’opera di recupero, per poi passare ad una fase di consolidamento degli intonaci e delle pitture con un accurato restauro. Di certo, anche nel caso di quest’opera, pregevole e di forte valore simbolico, si è perso tempo prezioso. L’umidità potrebbe, anche in questi ultimi anni, aver procurato guasti irreversibili. Di quel che è oggi, la “Madonna della Spada” se ne saprà di più a novembre, quando a morire sarà un’altra zona del borgo antico che nulla racconterà più se non con le sue macerie.

venerdì 27 agosto 2010


ABBANDONATA L’AREA ARCHEOLOGICA - IN QUEL POSTO SORGEVA IL CASTELLO, ABBATTUTO NEL 1936, DOVE NACQUE IL PAPA INNOCENZO XII.
di Cosimo Forina
Posto di fronte alla Chiesa Matrice vi è il luogo in cui sorgeva il castello di Spinazzola, abbattuto nel 1936 inspiegabilmente. Lì il 13 marzo 1615 nacque Antonio Pignatelli, divenuto papa con il nome di Innocenzo XII. Una campagna di scavi tra il 2006-2007 condotta dalla sovrintendenza ai beni archeologici, a cura di Giuseppina Canosa, finalizzata inizialmente e riportare in luce le fondamenta del castello riconducibile al IX secolo, portò invece a tre scoperte eccezionali.
LE VECCHIE MURA
La prima: appena al di sotto delle vecchie mura fu rinvenuto un villaggio preistorico dell’Età del Bronzo. Si tratta del primo insediamento che riscrive la storia della città e riporta l’orologio in dietro nel tempo di qualche migliaio di anni della presenza dell’uomo in forma stanziale.
IL SIGILLO DI PIOMBO
La seconda scoperta fu effettuata durante gli scavi, realizzati dopo opere di consolidamento del pianoro dove è ubicato il castello che a causa di una frana stava rischiando di scivolare nella grava detta dei francesi: fu trovato un raro e prezioso sigillo in piombo, raffigurante l’Imperatore Leone VI detto “il filosofo” (886-912).
LA TOMBA E IL PUGNALE
Poi la scoperta davvero inaspettata (la terza della serie), ovvero: la tomba di un uomo di rango, dell’Età del Bronzo, con tanto di pugnale di bronzo, con due margini taglienti, da considerare quindi, come scrive la sovrintendenza, come funzione di arma e non di utensile. L’uomo sepolto doveva di certo avere ruolo di guida nella sua comunità. Risultato: tutti questi reperti, per mancanza di un museo, sono finiti in custodia alla sovrintendenza. E l’area archeologica del castello non se la passa certo meglio. In poco più di tre anni dal rifacimento della recinzione in tufo, questa è stata divelta, distrutta in più punti e pare anche portata via.
UNA SITUAZIONE CRITICA
L’area archeologica e le mura medioevali sono ricoperte da sterpaglia, il camminamento realizzato intorno agli scavi presenta situazioni di grave pericolo. Perché dal lato della «Grava» sono stati buttati già i tufi che costituivano il parapetto protettivo, non prima di aver asportato le basale in pietra. Gli scavi della sovrintendenza erano stati protetti da teli e ricoperti con terra, in attesa di proseguire le ricerche non appena fossero arrivati nuovi finanziamenti. Ora questi emergono visibilmente strappati come se qualcuno sia andato a metterci le mani alla ricerca di chissà che cosa.
DIMENTICATO
Tutto questo, sembra lontano dallo spirito e dalle intenzioni manifestate dal sindaco Carlo Scelzi, che, ad esempio, in uno scritto riportato nel volume «Storia di Spinazzola, gli uomini, le cose, gli eventi, le origini», curato dalla prof.ssa Liana Bertoldi Lenoci del Centro Studi Storici e Socio Religiosi in Puglia-Bari, assicurava: «Nella mia qualità di primo cittadino, assistito dai signori consiglieri, in particolare dall’assessore alla Cultura Nicola Di Nardi, ho il dovere di tutelare gli aspetti culturali della città, che mi è dato amministrare e promuoverne la conoscenza. Una storia che inizia con l’analisi della natura e dell’ambiente per proseguire con le testimonianze neolitiche, archeologiche, architettoniche, laiche ed ecclesiastiche che costituiscono, complessivamente, la nostra storia agganciandola a quella del territorio circostante e della Regione». Quello che sta accadendo nell’importante area archeologica di interesse storico-scentifico è l’esatto contrario.

martedì 24 agosto 2010


UNO SCEMPIO IN VIA CALDERALE
DISTRUTTI AFFRESCHI DEL XIV SECOLO NEI PRESSI DELLA CHIESA DI SAN PIETRO APOSTOLO

La cancellazione della storia, delle opere d’arte che la testimoniano è il maggior delitto che si possa fare contro le future generazioni. Se questo avviene per incuria e indifferenza la colpa non trova giustificazione, specie se altri hanno tentato di proteggere e far recuperare il bene.
Il borgo antico di Spinazzola, privo di un piano di recupero, sta subendo trasformazioni irreversibili da parte di chi anziché concepire gli interventi sugli immobili come conservativi agisce senza regole trasformandoli a proprio compiacimento e necessità.
L’OBIETTIVO
Il proposito che anima i proprie tari è quello di migliorare i beni secondo una visione moderna, con interventi drastici, con trasformazione sulla originale architettura. Quel che se ne ricava è un ibrido tra antico e moderno che nulla a che fare con la storia della città e del suo borgo antico medioevale. Questo obbrobrio sta avvenendo senza che da parte dei proprietari vi siano in fondo “colpe dirette”, e questo perché a dover dettare le regole negli interventi per una corretta conservazione del borgo antico dovevano essere le istituzioni. A partire dal Comune, per quel che concerne l’aspetto tecnico-amministrativo e politico, nonché la sovrintendenza, ove sui beni storici dove si interviene ricorra la necessità di tutela.
AFFRESCHI PERDUTI
In via “Calderale” piccola stradina caratterizzata da un arco che unisce due fabbricati contrapposti, ubicata nei pressi della chiesa San Pietro Apostolo (Chiesa Matrice) pochi anni fa, erano tornati alla luce in modo del tutto occasionale per la caduta dell’intonaco che li ricopriva, degli affreschi murari a tema religioso databili intorno al XIV secolo.
Divenuti ben presto meta di chi, anche con la guida della pro-loco, si inoltrava nel borgo antico per scoprirne il suo fascino. Su tale opere per garantirne la conservazione e il recupero era stato approntato un progetto d’intervento sottoposto ed approvato dalla sovrintendenza di cui la “Gazzetta” si è occupata in passato. Per la mancanza di qualche migliaio di euro, tutte le buone intenzioni sono rimaste nel cassetto, ma il peggio è che ora di quegli affreschi e di quelli che presumibilmente erano ancora celati sotto l’intonaco, specie su tutto l’arco, non è rimasto più nulla. Cancellati e rimossi inesorabilmente per sempre. Sull’arco si è permesso di agire rimovendo tutto l’intonaco, portando i tufi, come si suol dire, a faccia vista.
SCEMPIO
Dell’affresco sulla parete, dove è stata persino piazzata e ancorata una impalcatura, non restano che pochi segni. Solo pochi tratti da cui non si riesce più nemmeno a dedurre quel che era l’opera. Lo sbigottimento è tale che non si riesce ad andare oltre il biasimo, la riprovazione. Altrove quel che si ha come identità della propria storia viene valorizzato, a Spinazzola se ne concede la distruzione. Le tracce dell’antichità qui non destano emozione, solo ingombro ai propri fini. Agire così però non coincide con gli interessi del patrimonio e della collettività, della città, a cui resta ora il nulla per la perdita di una parte preziosa del suo passato.

mercoledì 18 agosto 2010


LA GRANDE CORSA «MACCHÉ PETROLIO QUI IL VERO ORO È L’ACQUA»
L’ENTE IRRIGAZIONE CONTRO IL «VIA LIBERA» ALLE RICERCHE

Cosimo Forina • Spinazzola.
Nuovo capitolo sul progetto “Palazzo San Gervasio”. Senza il parere vincolante dell’Ente per lo Sviluppo dell’Irrigazione e la Trasformazione Fondiaria in Puglia (Eipli), Lucania e Irpinia, la ricerca dell’oro nero sul territorio potrebbe sfumare. Il bene più prezioso qui era e resta l’acqua.
L’iter autorizzativo ambientale posto in essere dalla società texana AleAnna Resorces LLC, portato al vaglio delle Regioni Basilicata e Puglia, nonché dei Comuni interessati al progetto di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi denominato “Palazzo San Gervasio” che si estende su di un territorio di 561 Kmq in gran parte in Lucania, che riguarda le città di Acerenza, Banzi, Barile, Forenza, Genzano di Lucania, Ginestra, Maschito, Montemilone, Oppido Lucano, Palazzo San Gervasio, Ripacandida, Rapolla e Venosa in Basilicata; Minervino Murge e Spinazzola in Puglia, potrebbe non essere sufficiente per ottenere il via libera da parte del Ministero dello Sviluppo Economico dipartimento per l’Energia.
LA LETTERA - E’ quanto si sostiene con una lettera fatta giungere, nonostante il periodo agostano sul tavolo del Ministero, dal direttore generale dell’Eipli, dott. Lorenzo Larocca (l’ente è guidato dal commissario di governo Saverio Riccardi): “L’area geografica sulla quale insiste il programma di ricerca idrocarburi, risulta essere il larga parte coincidente e sovrapposta con quella interessata dall’attre zzamento irriguo previsto nel progetto definitivo “Schema Idrico Basento-Bradano - Tronco Acerenza- distribuzione III lotto”, per l’irrigazione di circa 5000 ettari nei territori dei Comuni di Palazzo San Gervasio, Ban zi, Irsina e Genzano di Lucania. Progetto già approvato e finanziato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica per l’importo di 104,5milioni di euro, nell’ambito della legge obiettivo, inserito nel Programma delle Infrastrutture Strategiche del Mezzogiorno”.
GLI ATTI -Si tratta dopo i lavori della Salerno - Reggio Calabria della seconda opera più importante prevista dal Governo nell’Italia Meridionale che ha conseguito tutti gli atti approvativi: Decreto Commissariale, approvazione Cipe, approvazione tecnico-economica dipartimento infrastrutture della Regione Basilicata. Parere favorevole del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Sovrintendenza per i beni ar cheologici della Basilicata. Verifica di ottemperanza del Dipartimento Ambiente della Regione Basilicata e Autorizzazione Paesaggistica.
IL PROGETTO -Progetto sostenuto principalmente, per lo sblocco dei finanziamenti, dal ministro Raffaele Fitto e dal presidente della Regione Basilicata Vito De Filippo, come più volte ribadito alla “Gazzetta” dal capo di gabinetto del commissario dell’Eipli, Adriano Di Noia. Attore, quest’ultimo della sinergia istituzionale tra Governo e Regione, per una azione di rilancio del Mezzogiorno ed in particolare nei territori interessati dai progetti per il settore agricolo fino a oggi dimenticati dalle realizzazione di grandi infrastrutture di opere idriche. “E’ del tutto evidente, è stato sottolineato al Ministero da Larocca, che qualunque eventuale atto concessorio, relativo alla richiesta di permesso per la ricerca di idrocarburi, debba acquisire preventivo parere del Servizio Tecnico e conseguente nulla osta da parte della Direzione Generale di questo Ente”. Si sottolinea, in buona sostanza, che la ricerca degli idrocarburi possa “risultare in contrasto e configgere con l’infrastruttura strategia irrigua, programmata e finanziata dalla Sta to”.
L’INFRASTRUTTURA -Ed infine: “E’ appena il caso di precisare che tale infrastruttura è solo parte terminale di investimenti statali in termini di invasi sperimentali (Diga di Acerenza e Genzano di Lucania) oltre ad adduttori principali che hanno comportato ingenti risorse finanziarie pubbliche per circa 400milioni di euro”.