sabato 24 settembre 2011





SPINAZZOLA AZIONE DELLA FLAI-CGIL PER DENUNCIARE IL LAVORO NERO IN CAMPAGNA
Blitz dei sindacati, tensione tra i lavoratori irregolari

COSIMO FORINA
Tentativo di dialogo, attimi di incomprensione, tensione per la presenza delle telecamere. La Flai-Cgil con una nutrita delegazione ha incontrato i lavoratori immigrati che si sono accampati in una masseria abbandonata in agro di Spinazzola. Un centinaio di uomini costretti ad una condizione estrema, di stenti, che in questi giorni sono arrivati per la raccolta del pomodoro. Uno spaccato di umanità dolente che la “Gazzetta” ha fatto emergere per le estreme condizioni di disagio in cui vivono: «Senza acqua potabile, in tende o baracche rifugio, in oltre cento e forse più che si sono divisi gli spazi disponibili raggruppandosi, quasi a darsi forza, per nazionalità di provenienza. Unico luogo in comune: il punto della preghiera segnato da un copertone posto in direzione della Mecca e da alcuni fogli di cellofan su cui inginocchiarsi dopo essersi tolti le scarpe. C’è dignità in tutti, dicono di dover restare ancora per pochi giorni, forse una settima, due, e poi ripartire li dove le loro braccia sottopagate sono ricercate per la raccolta di altre colture. Nella delegazione che accompagna il segretario della locale Cgil Domenico Gugliemi e Franco Raimo, anche Giuseppe Delionardis del regionale e Gino Rotella segretario nazionale della Flei-Cgil. Difficile trovare subito la sintonia del dialogo, forse la presenza dei giornalisti fa troppo frastuono e questa gente non ha più fiducia in nulla se non nelle proprie braccia. In quella forza che li rende immuni da una condizione inaccettabile. Quando capiscono che di fronte a loro c’è il sindacato qualcuno finalmente inizia a parlare e racconta. Uno di loro (cui attribuiamo il nome casuale di Riccardo), descrive: «Sono arrivato da Vicenza e sono qui da un mese. Vi ringraziamo del vostro interessamento, ma noi tra un po’ di qui andremo via. Tutto quello che potete fare per noi è ben accettato. Qui c’è gente che lavora e altri no, non c’è lavoro per tutti e c’è chi non può mangiare» . Alla domanda di Gino Rotella se ci fossero caporali Riccardo prosegue: «A chi ci accompagna sui campi diamo cinque euro e noi ne prendiamo tre e mezzo a cassone». Rotella chiede ancora: «E quanti ne riesci a fare: due, massimo tre, quindi lavori solo per il caporale? Lo sai che per legge il trasporto è a carico dell’impresa che ti fa lavorare nei campi e di quanto è realmente la tua giornata lavorativa?» Riccardo sorride, Delionardis si offre di far giungere nell’accampamento un camper di Amnesty International con medici che possono dar loro cura e assistenza, ma poi il dialogo è interrotto da altri che dicono di non gradire la presenza dei giornalisti e minacciano di rompere le autovetture se non vanno via. In quelle “minacce”, si coglie spavalderia e solo paura. Paura di essere cacciati da quel girone dell’inferno che è il campo improvvisato di Spinazzola. Nella delegazione anche l’assessore del Comune Giuseppe Blasi e Orazio Vitti che come gli altri si chiedono cosa in concreto si può fare per questa gente, perché la coscienza dall’interno martella la mente e non lascia scampo. Gino Rotella denuncia ai giornalisti: «Spinazzola è una delle situazioni che stiamo monitorando a livello nazionale. La maggiore imputabilità di questa situazione è delle aziende agricole responsabili di far vivere queste persone in questa precarietà. L’Italia paese tra i più civili del mondo si presenta in questo modo, con l’assenza totale dello Stato. A Nardò siamo riusciti a creare maggiore condizione di dignità, ma è tutto difficile perché questi uomini vivono di patimenti e di ricatti». Qualche chilometro per una sosta al Centro di identificazione ed espulsione, chiuso ed inutilizzato. Forse questi lavoratori potrebbero trovare alloggio temporaneo qui, ma la gestione è del Ministero dell’Interno ed è difficile avere in pochi giorni un permesso. Altra idea, utilizzare il carcere svuotato di Spinazzola, ma in quali condizione è stato lasciato dopo lo smembramento? Idee, ricerca di risposte, ipotesi. Intanto le minacce verso i giornalisti aumentano: forse un irregolare se non il caporale rimprovera altri extracomunitari di aver parlato. Cogliamo un’ultima frase: «In molti dicono di volerci aiutare, ma alle parole non sono giunti i fatti». Cala notte nella masseria, i fuochi che danno luce, sono accesi per preparare un fugace pasto. Domani se non piove forse ci sarà lavoro. Tre euro e cinquanta per ogni cassone, cinque per giungere nel campo con il caporale, senza il quale non ci sarebbe speranza neanche per mangiare

mercoledì 21 settembre 2011


IMMIGRATI NEI CAMPI
I LAVORATORI «ABBANDONATI»
LA TENDOPOLI
I braccianti nordafricani hanno trovato rifugio in una delle tante masserie abbandonate in zona Santa Lucia
CHIUSO DA LUGLIO
Da Centro di accoglienza richiedenti asilo (Cara) è diventato Centro di identificazione ed espulsione (Cie) sino al 31 dicembre 2011
Spinazzola, in 70 in un casolare
E a meno di 10 chilometri, a Palazzo San Gervasio, inutilizzato un centro di accoglienza
di Cosimo Forina
Braccia pagate dall’alba al tramonto a 4 euro all’ora, a volte 4,50 euro o 5euro quando la raccolta del pomodoro,in alcuni casi di peperoni, è fatta ancora a mano e non con le macchine. Arrivano dal Burkina Faso, Mali, Costa D’Avorio, Ghana o dal Sudan. In settanta, dicono, ma forse sono più di cento, hanno trovato “rifugio” piazzando le loro tende in una delle tante masserie abbandonate in località detta “Santa Lucia” di Spinazzola.
IL RIFUGIO
Qualcuno si è costruito un rifugio: piccole baracche innalzate con mezzi di fortuna. Altri dormono all’interno della masseria a terra in locali in cui manca il tetto. E’ qui che attendono la chiamata d’ingaggio, alla giornata, spesso in nero, per raccogliere l’«oro rosso» raggiunto a maturazione in questo periodo. Per riempire le grosse casse di plastica da caricare sui camion. Sono soldi, 30-40euro, frutto di vera fatica, indispensabili per la sopravvivenza, da mandare alle proprie famiglie che si trovano in condizione di stenti che sono, come raccontano, ancora più pesanti dei loro stessi sacrifici. Sino allo scorso anno questi lavoratori stagionali, uomini a cui è negata dignità - l’acqua potabile se la procurano ad una fontana ubicata ad una decina di chilometri, quella per lavarsi il corpo, pentole e stoviglie la recuperano da un ruscello- trovavano ospitalità nel centro di accoglienza di Palazzo San Gervasio. Una struttura nata a favore di questi lavoratori, grazie alla sensibilità e senso di umanità degli amministratori della città lucana che dista una manciata di chilometri da Spinazzola. Un centro munito di acqua corrente, docce, dove potersi disporre in campo in sicurezza, vicino ad un centro abitato dove fare acquisti, illuminato, quando al finire del giorno, di notte, al buio, si è costretti a piedi a ritornare alle proprie tende. Di colpo però questo luogo è stato sottratto al bisogno di questa gente, per lo più regolari, per essere trasformato, in nome dell’emergenza profughi, prima in Centro di accoglienza richiedenti asilo (Cara) e poi dichiarato formalmente Centro di identificazione ed espulsione (Cie). Per decreto, sino al 31 dicembre 2011.
L’EX CENTRO COMUNALE
Dal 15 luglio però l’ex centro comunale nato proprio per evitare accampamenti di fortuna, intorno a cui hanno innalzato alte mura di cinta, speso un mare di soldi, trasformato da campo di accoglienza a luogo di reclusione, come ha denunciato l’associazione “Articolo 21” in una interpellanza al ministro Roberto Maroni è stato serrato ed è totalmente vuoto, inutilizzato. Gestito prima dalla Croce Rossa il Cie di Palazzo San Gervasio ha ospitato circa 600 tunisini per alcuni mesi, dai 18 ai 35 anni, ed è poi diventato come ha affermato sempre “Articolo 21”: «off limits per stampa e televisioni e persino per l’Alto commissariato Onu. In seguito, a stretto giro di posta, anche la Croce Rossa è stata fatta uscire dalla struttura per essere amministrata interamente dalle forze dell'ordine e da una società privata, la Connecting People,un consorzio d'imprese con sede a Trapani che gestisce per conto del Ministero dell'interno praticamente tutti i Cie presenti sul territorio nazionale». Ora il paradosso è che questo complesso di elementi con i suoi servizi e spazi, nel pieno della raccolta nei campi, che richiama centinai di lavoratori stagionali, è chiuso. Mentre le persone sono lasciate vivere in abbandono senza nessuna assistenza.
CONDIZIONI INCREDIBILI
Il richiamo della condizione in cui versano questi cittadini giunti dal mondo, da Paesi in guerra ed in carestia, lasciati oltre il limite del tollerabile, è finalizzato a trovare la sensibilità dei sindaci, tanto di Palazzo San Gervasio che di Spinazzola, affinché con il potere a loro affidato possano intervenire per chiedere, almeno sino alla fine della raccolta dei prodotti agricoli, la riapertura temporanea del centro di accoglienza. Una ventina di giorni al massimo. Un appello che trova la necessità di estendersi alle Caritas locali, alle parrocchie, che possono farsi carico di questa istanza che è, ci si creda, una vera emergenza. Queste persone capaci comunque di accoglierti con un sorriso, timorose di essere mandati via, sono pronte a rinunciare a tutto ed accettano, quale fosse una sorte irreversibile, la loro condizione di precarietà inesorabile. Difficile però far finta di nulla. Diceva don Tonino Bello: «I poveri, quelli veri, hanno sempre ragione anche quando hanno torto». E sarebbe un torto girare lo sguardo altrove, per evitare di dare delle risposte, come in questo caso, su una degna accoglienza. Quella che spetta a tutte le persone.
LA STORIA COSÌ ARRIVANO DA OGNI PARTE DELL’AFRICA E POI RIPARTONO, ADATTANDOSI A OGNI CONDIZIONE
La guerra tra Regioni e il popolo delle braccia
Respinti sul confine di due Regioni. C’è anche questo nell’assurda condizione dei lavoratori stagionali, senza i quali i campi di pomodoro marcirebbero senza essere raccolti. Questo tipo di coltura si estende prevalentemente in Basilicata ma non mancano campi di oro rosso sul versante pugliese ed in particolare a Spinazzola. Un giro di affari non da poco. Una volta raccolti i pomodori vengono consegnati alle aziende di conservazione prevalentemente della Campania. E da qui, lavorati, finiscono sulle tavole degli italiani ed all’estero etichettati con i nomi delle più svariate e pregiate aziende dell’agroalimentare: «la pommarola dal sapore mediterraneo». A spezzarsi la schiena per la raccolta sono però gli immigrati, sporadicamente qualche italiano. E’ per questa ragione che puntualmente da anni, richiamati dai quattro soldi messi a disposizione dai coltivatori, quando non soggetti al caporalato, gli stazionali arrivano sul territorio occupando con le loro tende casolari abbandonati più o meno vicini ai centri abitati. Capaci pur in condizioni estreme di organizzarsi anche con una sorta di fureria mobile che si occupa di rispondere alle esigenze della sopravvivenza del gruppo pur se suddiviso per nazione di provenienza. Finché il centro di accoglienza di Palazzo San Gervasio ha funzionato, il problema, se tale si può definire, dell’occupazione di immobili rurali fatiscenti, si era attenuato. Anche perché, la stessa Prefettura, aveva obbligato i proprietari dei ruderi a murarli. Lo scorso anno lo spazio di Palazzo San Gervasio poi trasformato a Centro di Identificazione ed Espulsione è stato fatto trovare sbarrato. Ciò nonostante, il fiume delle braccia di colore, lo aveva occupato sino allo sgombero fatto eseguire dalle forze dell’ordine, che si sono preoccupate di far lasciare a questa gente solo il territorio della Basilicata. Ovvero poco meno di cinquecento metri nel territorio di Spinazzola. E’ per questa ragione che ora si trovano a far tappa nelle masserie spinazzolesi. C’è un dato curioso: chi pianta i pomodori non si interessa di creare le condizioni per accogliere chi deve poi raccoglierli. Per loro sono braccia da usare la mattina per riempire camion da far partire. I comuni dove vi sono i campi a coltura di pomodoro scaricano le proprie responsabilità girando lo sguardo altrove. Non prevedendo in tempo utile la realizzazione di campi attrezzati per accogliere questi lavoratori. Ed in questa situazione che si alimenta, tra il confine di due regioni, la Puglia e la Basilicata, la guerra ai poveri. Il popolo di braccia tra una ventina di giorni svanirà per ripresentarsi con le stesse criticità il prossimo anno.

mercoledì 14 settembre 2011

PRIGIONI E AULE POLLAIO
Editoriale di RINO DALOISO
Gli incroci della cronaca spesso sono incredibilmente significativi. Oggi, documentiamo le conseguenze dello smantellamento del carcere di Spinazzola, già struttura modello (gli ispettori ministeriali dissero) e dal volto umano per detenuti sex offender. Il trasloco in corso, ahinoi, cittadini-contribuenti, attoniti spettatori paganti di questo scempio, puzza di razzìa. Quella struttura è stata inutilizzata fino al 2004. Dopo 7 anni, viene chiusa, saccheggiandola. «È antieconomica», ha sentenziato a giugno il ministero di giustizia. E ha sfrattato detenuti e guardie carcerarie. Quello stesso ministero di giustizia ora dovrà risarcire un detenuto nel carcere di Lecce: il tribunale di sorveglianza ha riconosciuto «lesive della dignità umana» le condizioni in cui un cittadino tunisino è stato imprigionato. Un mese di ingiusta sofferenza suppletiva dietro le sbarre, hanno stabilito i giudici, «vale» 220 euro. Una inezia, da un lato. L’apertura di una falla dalle proporzioni inimmaginabili, dall’altro, vista la pioggia di ricorsi che s’annuncia. E pensare che alcuni detenuti dell’ex carcere di Spinazzola sono stati trasferiti proprio a Lecce. Quello che lo Stato «risparmierà» (ma sarà davvero così?) lo scucirà risarcendo i danni a detenuti ristretti in celle sempre più simili a disumani pollai? «Chi apre la porta di una scuola, chiude una prigione», ha scritto due secoli fa il francese Victor Hugo. Ora si chiudono le porte di prigioni «dal volto umano» e si riempiono simultaneamente celle ed aule scolastiche come pollai. Non era forse meglio la Francia dei miserabili dell’Ottocento?
BENI PUBBLICI
UNA STRUTTURA ABBANDONATA
LO SPRECO
L’istituto avrebbe potuto svolgere ben altro ruolo: con l’impiego di altre dodici unità
avrebbe potuto ospitare oltre cento detenuti
UN FUTURO INCERTO
In attesa di conoscere il futuro dell’immobile, resta una certezza: per recuperarlo ci vorranno decine, forse centinaia, di migliaia di euro
CARCERE, TRASLOCO? NO,UN SACCHEGGIO
Spinazzola, ecco come la rimozione delle linee elettriche lascia il segno sulle pareti
di COSIMO FORINA
Ecco in esclusiva le fotografie dello smembramento, più che lo smontaggio, del carcere di Spinazzola. Questo è quel che resta di un Istituto Penitenziario di eccellenza nazionale in cui si combatteva la recidiva dei detenuti sex offender, costato alla collettività miliardi di vecchie lire. Un quadro desolante al pari di altri registrati sul territorio. L’eloquenza delle fotografie non lascia dubbi di interpretazione: un saccheggio. Se mai si dovesse decidere, viste le interpellanze e le interrogazioni parlamentari in corso rivolte al Ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma di riattivare questa struttura ci vorranno decine se non centinaia di migliaia di euro. Chi pagherà? In questi mesi dopo il decreto di chiusura firmato dall’ex Guardasigilli Angiolino Alfano il 16 giugno, in molti hanno richiamato alla riflessione sul da farsi. Ed invece la macchina dell’azzeramento ordinata l’8 agosto a firma del Provveditore Regionale Giuseppe Martone sembra aver preso tutt’altra piega. In quell’ordine di servizio all’assistente capo Pietro Mastrototaro veniva dato mandato con l’ausilio di altri di provvedere solo, e va sottolineato il solo, alle operazioni di smontaggio delle attrezzature, all’elettricista Raffaele Titali solo allo smontaggio delle apparecchiature elettriche previ accordi con la direzione del Istituti Penitenziari di Trani, al ragioniere Emanuele De Giuseppe l’incarico di coordinamento delle operazioni di trasloco. Trasloco non significa razzia. Lasciare ferite nelle pareti per portar via una cassetta di sicurezza di poche centinaia di euro appartiene all’inverosimile. Uno sfregio di cui non si può non chiedere di dar conto ai cittadini in un momento in cui si impongono sacrifici per tutti. Un carcere, quello di Spinazzola, che con l’impiego di dodici unità in più rispetto all’organico che lo reggeva poteva ospitare oltre cento detenuti ora è un insieme di stanze vuote, lacerate nelle loro funzioni. No non è questo che ci aspettava con la dismissione, lo hanno gridato i sindacati come l’Ugl Polizia Penitenziaria, lo gridano tutti quei detenuti ammassati come sardine nelle carceri fatiscenti italiane dove sovente trovano la morte per suicidio. Le fotografie sono state inoltrate per ogni opportuna valutazione ai parlamentari Radicali che sull’Istituto di Spinazzola hanno presentato una interrogazione a cominciare dall’on. Rita Bernardini che nei giorni scorsi aveva inoltrato al Ministro Nitto Palma e al suo capo di gabinetto Settembrino Nebbioso richiesta di accesso alla documentazione che aveva portato a dichiarare il carcere di Spinazzola antieconomico. Si voleva capire l’illogicità, ed invece, sembra che si sia proceduto col l’intento di portar via tutto quanto era possibile, quasi a non voler far tornare indietro sulla scelta della dismissione. Perché? Cosa realmente nasconde la chiusura del carcere di Spinazzola? Qualcuno spieghi il senso di tutto questo al neo garante dei detenuti della Regione Puglia, Pietro Rossi che, dopo aver fatto visita al carcere di Spinazzola insieme con il consigliere regionale Ruggiero Mennea, si era detto certo sull’opportunità della riapertura dell’Istituto, anche con l’ausilio ed il supporto del presidente della Regione Nichi Vendola. Ora il Ministro ha una ragione in più per riflettere, tornare indietro rispetto al suo predecessore, come da quest’oggi in molti sono chiamati ad esprimersi su quanto avvenuto. A partire dal sindaco Nicola Di Tullio che non potrà non far sentire la sua voce. Così come ricorderanno quel che era questo Istituto Penitenziario i parlamentari che si sono avvicendati nello loro visite e nel manifestare il loro sostegno a detenuti ed operatori: dall’on. Pierfelice Zazzera (Idv), all’on. Benedetto Fucci e al sen. D’Ambrosio Lettieri, a loro il compito di spiegare e farsi spiegare anche dal dirigente del dipartimento del Ministero Franco Ionta, l’uomo che ha segnato la sorte del carcere di Spinazzola, se quanto successo rientra nel pieno rispetto dovuto alle strutture dello Stato.

lunedì 12 settembre 2011

LA PUGLIA DELL’ACCOGLIENZA E LA CAMPANIA DELLA MONDEZZA UNITE DALLA CIVILTÀ DELLE FONTI RINNOVABILI

Che “barba” dover dare ancora ragione a Carlo Vulpio e al professore Vittorio Sgarbi. I due immediatamente silenziati dalla Rai alla prima puntata del loro programma perché avevano osato portare in prima serata lo scempio del territorio e degli affari perpretato delle lobby dell’eolico e del fotovoltaico. Quelle notizie non fanno alzare l’auditel, indice di ascolto delle trasmissioni televisive, ma fanno incavolare e di brutto tanti. Tra cui e principalmente il governatore della Regione Puglia Nichi Vendola. Perché nella sua amata regione specchi e le pale eoliche hanno sterminato più che altrove il paesaggio finendo spesso e volentieri anche all’attenzione della cronaca giudiziaria. Ma lui la chiama sviluppo, “green economy”. Chissà, se ne avessero avuto occasione come dal piccolo schermo agli italiani Vulpio e Sgarbi avrebbero commentato l’articolo apparso il 2 settembre su www.agrorinasce.org che qui riporto. Dove i terreni confiscati ai “casalesi” maestri nell’interramento dei rifiuti, sono stati prima usati in parte per depositare altri in superficie in nome dell’emergenza e poi con buona pace di tutti stanno per essere tombati da migliaia di specchi piazzati in nome dell’antimafia. Ed infine non perdetevi la visone sulla cordiale Puglia di Nichi Vendola che a spranghe accoglie i giornalisti che vogliano capire di più su quanto avviene nelle terre del Salento come in tutta la Regione per gli insediamenti dell’eolico e del fotovoltaico. Buona lettura e buona visione.

PARTE IL PIÙ GRANDE INVESTIMENTO PRODUTTIVO E SOCIALE SU UN TERRENO CONFISCATO ALLA CAMORRA IN S. MARIA LA FOSSA’
L’azienda agricola ‘ex Ferrandelle’ confiscata a Francesco Schiavone ‘Sandokan’ di circa 13 ettari ritorna a nuova vita nel segno dell’ambiente e della produzione di energia da fonte rinnovabile con un piano di investimenti di circa 16 milioni di euro tra fondi pubblici e privati promosso da Agrorinasce. In quest’area si concentreranno tre investimenti:
1) Progetto di riconversione della “ex Fattoria dei prodotti tipici” in Centro di documentazione ed educazione ambientale ed isola ecologica” con un finanziamento del Ministero dell’Interno – PON Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno Ob. Convergenza 2007-2013 per l’importo di euro 1.479.000,00;
2) Progetto di realizzazione di un Parco Fotovoltaico per l’importo di euro 14,5 milioni circa attraverso una procedura di evidenza pubblica di finanza di progetto, di cui 10,5 milioni di lavori.
3) Progetto di impianto di circa 9.000 alberi di eucalipto finanziato dalla Regione Campania PSR Campania 2007-2013 misura 2.21 per l’importo di circa 50.000,00.
Il via libera all’intero piano di sviluppo è arrivato nel mese di agosto con il finanziamento concesso dal Ministero dell’Interno PON Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno. “Il piano proposto sarà il più importante investimento pubblico e privato in Italia che si realizza su di un bene confiscato alle mafie ed in particolare all’ex capoclan Francesco Schiavone, Sandokan – dichiara l’Amministratore delegato dott. Giovanni Allucci. E’ stato un progetto complesso che ha richiesto 2 anni di lavoro e di incontri con l’Agenzia Nazionale dei beni sequestrati alle mafie, il Ministero dell’Interno ed altre istituzioni locali e regionali, a partire dalla decisione che fu presa dall’allora Commissario Straordinario per l’emergenza dei rifiuti nell’anno 2008 di localizzare un sito di stoccaggio dei rifiuti sui 40 ettari contigui all’area gestita da Agrorinasce.” La storia dell’azione di recupero ad uso sociale dell’ex azienda agricola ‘Ferrandelle’ di complessivi 56 ettari, confiscata alla fine degli anni ’80, è emblematica. Dopo oltre 10 anni di vari tentativi falliti di recupero ad uso sociale dell’azienda agricola, il Comune di S. Maria La Fossa, nell’anno 2005, aderisce al consorzio Agrorinasce e parte l’azione di riscatto del territorio e recupero ad uso sociale dei beni confiscati. L’azienda confiscata a Francesco Schiavone, Sandokan, fu oggetto di una precisa azione di recupero da parte dello Stato con il Demanio Militare (43 ettari) per la realizzazione di un Poligono per attività addestrative e con Agrorinasce (13 ettari) per la realizzazione di una ‘Fattoria dei prodotti tipici’. Agrorinasce presentò ed ottenne dal Ministero dell’Interno un finanziamento di circa 560.000,00 euro per la realizzazione della Fattoria. Nell’anno 2008, mentre erano quasi ultimati i lavori della Fattoria, l’allora Commissario per l’emergenza dei rifiuti nella Regione Campania, il Prefetto De Gennaro, utilizzò la parte assegnata al Demanio Militare per localizzare il sito di stoccaggio provvisorio di rifiuti solidi urbani di oltre 500.000 tonnellate. I lavori furono immediatamente sospesi e Agrorinasce si impegnò con lo stesso Ministero dell’Interno a trovare una soluzione alternativa che fosse più coerente con lo stato dei luoghi considerato che era inimmaginabile realizzare una fattoria didattica. Un impegno che Agrorinasce ha certamente mantenuto, proponendo di riconvertire quella che era un’area agricola in un nuovo progetto molto ambizioso che avesse l’obiettivo di realizzare su un’unica area confiscata un’attività di recupero e smaltimento di rifiuti, di produzione di energia da fonte rinnovabile, di rimboschimento con colture destinata a ‘biomasse’ e di sensibilizzazione sui temi dell’ambiente e del risparmio energetico. Gli amministratori di Agrorinasce sottolineano con orgoglio che il progetto in via di realizzazione presenta tre novità importanti a livello nazionale:
1)la prima novità, già citata, è rappresentata dalla circostanza che si tratta del più importante investimento che ad oggi si va realizzando su un bene confiscato alle mafie in Italia;
2)la seconda novità è che per la prima volta si vuole realizzare un impianto di produzione di energia da fonte rinnovabile di oltre 3 Megawatt su di un’area confiscata alle mafie coinvolgendo il mondo delle imprese private, attraverso un bando pubblico del tipo ‘project financing’;
3)la terza ultima novità è relativa all’intento di avviare una collaborazione gestionale e finanziaria tra il mondo dell’impresa privata, del settore sociale e quello pubblico per realizzare un progetto dall’alto valore simbolico di recupero ad uso sociale e pubblico di un bene confiscato alla camorra.
‘Con questo progetto – prosegue Giovanni Allucci – intendiamo creare un circuito virtuoso di collaborazione tra Agrorinasce, imprese private e imprese del settore sociale. Nel giro di pochissimi giorni partiranno i primi bandi di gara, tra cui quello importantissimo per la realizzazione del Parco Fotovoltaico dove auspichiamo una grande partecipazione di imprese. In caso di successo dell’iniziativa non solo avremmo i fondi necessari per finanziare il Centro di documentazione ed educazione ambientale per le finalità pubbliche programmate, ma individueremmo altre aree o immobili suscettibili di ulteriori investimenti nella produzione di energia da fonte rinnovabile’.
Grande soddisfazione viene espressa dal Presidente di Agrorinasce dott.ssa Immacolata Fedele la quale aggiunge che “Il Ministero dell’Interno riserverà grande attenzione per questo progetto’. Il Sindaco di S. Maria La Fossa, dott. Antonio Papa, non nasconde la propria soddisfazione che segue quella della consegna sempre insieme ad Agrorinasce di altri trenta terreni agricoli confiscati alla camorra a tre soggetti sociali: ‘Questa Amministrazione è in prima linea in questo nuovo percorso di legalità e di sviluppo, attueremo insieme ad Agrorinasce altri progetti importanti che porteranno sviluppo ed una diversa immagine del territorio”.


sabato 3 settembre 2011

L’ISTITUTO È STATO CHIUSO NONOSTANTE GLI ACCORATI APPELLI DELLE STESSE PERSONE RECLUSE «Io, detenuto, salvato nel carcere diventato struttura modello» Ma la lettera di un 38enne non è servita ad evitare la chiusura di COSIMO FORINA Carcere per sex offender chiuso. Inascoltato anche l’appello dei detenuti. Ecco il testo della lettera sino ad oggi ignota, scritta da un detenuto, controfirmata anche dagli altri ospiti del carcere di Spinazzola inviata al magistrato di sorveglianza Giuseppe Mastropasqua e da questi il 18 luglio 2011 al Dap - Roma Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento e al Prap di Bari, Ufficio del Trattamento Intramurale. Il detenuto - di cui non rendiamo noto il nome - proveniente da Roma aveva chiesto di essere affidato al carcere di Spinazzola per poter partecipare al progetto sperimentale interamente finanziato dalla Regione tramite l’Asl/Bt contro la recidiva per reati sessuali. Interrotto bruscamente dopo il decreto di chiusura firmato dall’ex Guardasigilli Angiolino Alfano il 16 giugno 2011 e notificato dal provveditore Martone solo il 27 luglio. «Gentile dott. GiuseppeMastropasqua, sono (omissis) ho 38 anni di Roma - scriveva a luglio il detenuto - Da quando circolano voci riguardo la chiusura di questo Istituto, trasalgo di preoccupazione per il futuro stesso di questo “bene”, ed è per questo motivo che mi sono deciso a scriverle. Vorrei in breve spiegarle il motivo per il quale da Roma sono arrivato sino qui. Per qualche anno sono stato in cura psichiatrica dal prof. Villanova, e dopo attente considerazioni, siamo giunti alla conclusione che, per il completo recupero della mia persona, fossi assegnato ad un buon Istituto». «In effetti - proseguiva - ho trovato un ambiente favorevole e ricco di iniziative che pongono al centro di ogni attività il detenuto. L’attenzione da parte di tutto il personale è sempre vigile ed operativo: dal comandante, agli assistenti, dai medici, agli infermieri, dall’educatrice, agli psicologi e tutti gli altri collaboratori. I corsi che già sono stati svolti nei mesi passati, hanno trovato grande interesse ed utilità. Penso a quello dei pannelli solari e, l’attestato che è stato rilasciato, sarà sicuramente un buon mezzo di inserimento per il lavoro futuro, non da meno è stato il corso da pasticciere; il corso di elettrotecnico attivo quotidianamente; ed ancora i progetti in cantiere che stanno per prendere il via. Mi permetta però di porre l’accento sul corso più importante, ed utile a mio avviso, che stiamo svolgendo: la terapia di gruppo con un team di psicologi e psichiatri. Il bisogno di parlare e di esternare i propri sentimenti, i propri complessi e i propri problemi, credo, a mio avviso, che sia il cuore e lo scopo di questo Istituto, ed è il mezzo più efficace per un recupero totale della persona detenuta». E poi: «Da quando ho preso viva coscienza di essere schiavo di questo grave problema, ho solo un grande desiderio potermi impegnare al massimo per liberarmene e vivere una vita serena e libera. Sono orgoglioso del mio grande miglioramento che sto notando giorno dopo giorno, ma ancora di più potrò esserlo quando questa “macchina da recupero”, sarà perfetta, e allora, se penso che fra qualche anno tutti quelli che transiteranno da questo Istituto, avranno la concreta possibilità di ritrovare se stessi, non potrò che essere orgoglioso ancora di più, dal momento che ogni piccolo miglioramento sarà dovuto anche grazie ai nostri suggerimenti». Conclusione: «Per questa serie di motivi, vi invito a considerare bene e attentamente l’ipotesi di un eventuale provvedimento nei confronti di questo Istituto. Ho fiducia nelle Istituzioni e nel ruolo che lei svolge e mi auguro di continuare serenamente il mio percorso e quello dei miei compagni»